Le "Zuppe Napoletane"
Provate ad offrire ad un vero Napoletano una qualsiasi minestra in brodo, vi risponderà – ‘E camma’ fà, stamm’ ‘o spitale? (stiamo all’ospedale?). Il brodo infatti è per i napoletani qualcosa di poco diverso da un medicinale o, al massimo, un ricostituente da propinare ai convalescenti da lunghe e debilitanti malattie.
Due eccezioni: ‘O bror ‘e purp e ‘A menesta maretata.
Questa minestra deliziosa celebra con il suo nome il matrimonio fra il nobile e ricco vigore della carne e la povera e bella saporosità della verdura.
Vediamo la ricetta: In un brodo molto grasso fatto di ossa con midollo o osso di prosciutto non completamente scarnificato, carne di vitella, capone ripieno, gallina casareccia, pancetta o "verrinia" (la vulva di maiale), salsicce e salame nostrano in cui vengono cotte a dolce bollore "scarolelle, borraccelle, cicorielle, vrucculille, cappucce e torzelle" con un bel pezzo di formaggio caciocavallo piccante e del peperoncino da assaporare poi dopo averla per un poco lasciata riposare nella pignata.
La torzella era un po' la protagonista della minestra maritata... anche chiamata cavolo greco o torza riccia, la torzella, dal luglio 2006 nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali della Campania, è una pianta rustica che si consuma sia cruda, che cotta a vapore, lessata o saltata in padella. Ha un gusto vivace e pungente, a metà tra il Friariello e la Cima di Rapa.